Diario del Festival

Dall'archivio del Festival, tutte le cronache dell'edizione 2004


29 ottobre 2004
Goodbye Kant!

di Daniele Miggino

Il Festival ci porterà domenica 31 ottobre, alle 15.00 presso l'Aula San Salvatore, ad affrontare il tema del ruolo della filosofia in un mondo sempre più scientifico. Relatori: Giulio Giorello, Armando Massarenti, Nicla Vassallo e Maurizio Ferraris, autore del libro, Goodbye Kant! da cui trarrà spunto la discussione. Lo abbiamo intervistato.

Il suo libro riprende il titolo di un film. Cosa li lega oltre al titolo?
«Per un pelo Königsberg, la città di Kant, non ha finito per esserci, in DDR, la DDR cantata da Wolfgang Becker in Goodbye Lenin! Non ci è finita perché se l'è presa la Russia. La DDR era davvero piena di imperativi categorici, talvolta inquietanti come gli elmetti nazisti dei suoi soldati, talaltra commoventi nel rispetto dei princìpi e nel rifiuto di una pura logica di mercato.
Adesso, a Kaliningrad, gli sposi vanno a farsi fotografare davanti al monumento di Kant il giorno delle nozze. Non voglio rovinargli la festa. Voglio parlare di quel grande filosofo con il tono riservato alla DDR da Becker, cioè con nostalgia e rispetto per gli ideali, ma anche senza nasconderne le debolezze, le macchinosità, i cetrioli e le Trabant, che erano poi l'equivalente della Bianchina, l'auto del genovese Ugo Fantozzi/Paolo Villaggio».

Qual'è l'eredità più importante che ci ha lasciato Kant?
«Almeno due. La prima è la rivoluzione copernicana, l'idea che non dobbiamo chiederci come le cose siano in se stesse, ma come debbano essere fatte per venir conosciute da noi. È una gigantesca trasformazione del modo di pensare l'uomo, anche se induce un errore fatale, l'idea che il mondo sia un frutto dell'io.
La seconda è l'idea che tutto, alla fine, si risolve nella morale. È terribilmente vero, ed è un invito alla coerenza nella vita, che non è ovvio per nessuno. E che soprattutto non è facile per nessuno, basta aver vissuto un po' per rendersene conto».

Cosa pensa di eventi come il Festival della Scienza?
«Lo spettacolo grandioso e intelligente della scienza è un segnale decisivo quando la cultura, la politica e la vita civile sono minacciate da un avanspettacolo meschino e stupido».

Lei si occupa di Ontologia. In che modo si lega alla Scienza di oggi?
«Proprio a Genova, nel settembre scorso, Umberto Eco, un antesignano della filosofia applicata, ha raccontato questa barzelletta. Una università vuole aprire un dipartimento di fisica nucleare, ma si scoraggia per il costo delle attrezzature. Ripiega su un dipartimento di matematica, in fondo bastano carta, matita e cestino. Ma a questo punto un professore prende la parola e dice: "se è per risparmiare, allora apriamo un dipartimento di filosofia, bastano carta e matita e non serve il cestino".
Il mio interesse per l'ontologia nasce dal fatto che va in forte controtendenza rispetto a questa immagine funeraria della filosofia : la realtà non è fatta solo di atomi, ma anche di eventi di varia natura e durata, di oggetti ideali come i numeri, fittizi come Madame Bovary e sociali come i contratti, i matrimoni e le promesse. E per capirli e gestirli non basta la scienza, ci vuole una buona ontologia, quella che, per esempio, rende così efficace Google».

Ha lavorato con Derrida. Ci può lasciare un ricordo professionale e uno umano del filosofo?
«Il ricordo professionale risale a quando non ero un professionista: fu l'impressione che mi fece leggerlo quando avevo vent'anni e non ci capivo niente, eppure sentivo che ‘era qualcosa di grande e di vero. Anni dopo, diventato professionista, o almeno professore, ho capito che era così.
Umanamente era meraviglioso. Comunque, visto che al funerale ci ha lasciato detto di essere felici, eseguo l'ordine, e racconto una sua barzelletta che ci fa capire quanto Kafka ci fosse in lui. La fattoria degli animali decide di fare un pic nic. Partono tutti, ma arrivati nel posto prescelto si accorgono di avere dimenticato l'apriscatole. Chi va a prenderlo? Si offre la tartaruga, che avverte: “guai però se incominciate a mangiare prima di me”. Le ore passano, si fa quasi sera, e la tartaruga non torna. A un certo punto gli animali cedono e si avvicinano agli antipasti. E da un albero in fondo alla radura viene fuori la tartaruga: “Guardate che se incominciate a mangiare io non vado”».

Lei conosce ben l'ambiente filosofico genovese. Che impressione ne ha?
«A Genova ho molti amici. Dunque c'è un conflitto di interessi, ma se l'amicizia ha potuto stabilirsi è per la stima e l'ammirazione che ho avuto nei confronti dei filosofi genovesi, poi diventati amici...».

Si è fatto un'idea di GeNova 2004? Le è piaciuto il programma? E la città?
«Rispondo come il mio conterraneo Paolo Conte: “Genova per noi, noi che veniam dalla campagna, ecc.” Sottoscrivo ogni verso di quella canzone».


Conferenza
Goodbye Kant! Scienza ed esperienza
Michele Di Francesco, Maurizio Ferraris, Marcello Frixione, Giulio Giorello, Armando Messarenti, Nicla Vassallo
 
 
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