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7 novembre 2004
La vita sulla terra (Comunicato n.52)
Un oscuro presagio tormenta il sonno degli scienziati contemporanei: dalla sua comparsa sulla terra, l'homo sapiens è stato protagonista di una straordinaria evoluzione culturale che, tuttavia, potrebbe portare il pianeta alla catastrofe. Questa la sensazione di fondo che ha accompagnato il convegno La vita sulla terra, l'intreccio tra biodiversità, ecologia ed evoluzione, sabato 6 novembre presso la sala Grecale dei Magazzini del Cotone. Hanno partecipato Niles Eldredge, paleontologo e curatore della Divisione Invertebrati dell'American Museum of Natural History di New York; Sir Patrick Bateson, etologo, Rettore del King's College di Cambridge; Pietro Corsi, Docente di Storia della Scienza all'Università di Pavia; Danilo Mainardi, Docente di Ecologia all'Univesità Ca' Foscari di Venezia; Enrico Alleva, Direttore del reparto di Neuroscienze comportamentali del Dipartimento di Biologia cellulare dell'Istituto Superiore di Sanità a Roma; Carlo Petrini, fondatore e presidente di Slow Food. Ha coordinato Telmo Pievani, docente di epistemologia presso l'Università Milano-Bicocca.
La discussione ha preso spunto da un importante volume edito di recente: l'Enciclopedia della biodiversità, dell'ecologia e dell'evoluzione (Codice Edizioni 2004) curata da Niles Eldredge, in cui sono raccolte circa 200 voci.
«È un Enciclopedia integrata e interdisciplinare», dice Pievani, «un'ottima opera evoluzionistica».
Evoluzione ed estinzione sono i due elementi chiave del volume: «Tutte le estinzioni avvenute in passato hanno lasciato spazio a nuove specie», dice Eldredge. «I mammiferi, per esempio, si sono diffusi solo dopo l'estinzione completa dei dinosauri. Ma oggi il processo ha subito un'inversione mai vista prima: l'uomo sta provocando un'estinzione di massa, circa 30.000 specie all'anno».
Tutto questo succede ad un ritmo sempre maggiore, ed è dovuto ad una "trasformazione meravigliosa e tremenda", come dice Eldredge: l'invenzione dell'agricoltura. «Prima di noi nessun essere vivente ha provato a controllare i frutti della terra. L'uomo non ha potuto fare a meno di dichiarare guerra alla natura», continua il paleontologo. Dopo 10.000 anni gli homo sapiens sono passati da 5 milioni a 6 miliardi, e non hanno smesso di invadere nuovi spazi.
Per Danilo Mainardi il problema è dovuto ad una differente velocità tra evoluzione culturale e biologica. La genetica ha bisogno di generazioni per cambiare, la cultura è molto più rapida. «Questa discronia può avere conseguenze nefaste sulla biodiversità», dice Mainardi, «se la parte culturale non si adatta a quella biologica».
Anche sir Bateson sostiene che la cultura abbia un peso decisivo: «I genetisti sono abituati a pensare che siano i geni a muovere l'evoluzione, ma anche il comportamento e l'adattamento recitano un ruolo importante». Pietro Corsi indica nel progresso delle scienze e delle tecniche il punto nodale della questione: «È un argomento poco studiato ma molto pericoloso. Tra qualche anno persino il metodo scientifico potrebbe essere superato. Pensiamo a quanti gloriosi imperi scientifici del passato sono caduti nel dimenticatoio: a Kabul mille anni fa c'erano 12 cattedre di astronomia, e Damasco, un tempo, poteva considerarsi superiore persino a una moderna Harvard».
Enrico Alleva spende parole di elogio per l'Enciclopedia: «Un libro a favore della biodiversità, che in moltissime voci segnala il pericolo di estinzione. Numerosi i lemmi interessanti, come Conservazione, Musei e Mostre; splendida la voce relativa all'impollinazione: quasi una favola».
Carlo Petrini ha ripreso con veemenza il discorso sulla tutela delle biodiversità alimentari: «Negli ultimi 50 anni sono scomparse 4 razze di mucche e 6 di pecore, perché non erano produttive. Ho deciso di fondare Slow Food quando ho capito che importavamo i peperoni dall'Olanda, insipidi, mentre nelle serre italiane crescevano i semi di papavero».
comunicato completo (185 KB)
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